visita Sepino - ANSI - 17 settembre 2011
 


di Gabriella Di Rocco

 

L’Associazione Nazionale Sottufficiali d’Italia (ANSI) in visita al sito archeologico di Saepinum/Altilia

 

In una splendida mattina di fine estate, il 17 settembre c.a., un nutrito gruppo di soci della sezione provinciale di Campobasso dell’Associazione Nazionale Sottufficiali d’Italia (ANSI) ha visitato il sito archeologico di Saepinum/Altilia sotto la guida della dott.ssa Gabriella Di Rocco.
Prima di iniziare la visita, il gruppo, che si è raccolto all’ingresso degli scavi presso Porta Tammaro, ha potuto ammirare lo Scudo Blu, emblema internazionale di protezione dei beni culturali, qui apposto nel giugno del 2010 dalla Società Italiana per la Protezione dei Beni Culturali del Molise (SIPBC) presieduta dalla dott.ssa Isabella Astorri.
La dott.ssa Di Rocco ha illustrato ai presenti la storia del sito sin dalle sue più remote origini. Come è noto la città, che sorge lungo l’alta valle del Tammaro a breve distanza dall’attuale borgo medievale di Sepino, conserva ancora perfettamente leggibile l’impianto di età imperiale con le mura in opus reticulatum che racchiudono una superficie di circa 12 ettari. Quattro porte di accesso, che prendono il nome dai rispettivi siti verso i quali si aprono (Porta Tammaro verso il fiume Tammaro, Porta Benevento e Porta Boiano, verso le omonime città e Porta Terravecchia verso il Matese) permettevano, come permettono tuttora, di accedere al sito articolato attorno ai due assi viari principali: il cardo (cardine), che corre in direzione nord-sud, e il decumanus (decumano), in senso est-ovest, che ripercorre il tracciato di quel tratturo che dall’età aragonese sarà detto Pescasseroli-Candela.
Posto in una posizione geografica assolutamente strategica, l’insediamento nacque e si sviluppò come importante centro commerciale legato alle attività connesse con la transumanza, quindi con il transito e l’allevamento degli ovini. Le prime tracce risalgono al IV secolo a.C., epoca in cui, ben prima dell’arrivo dei Romani in questa parte dell’Appennino meridionale, i Sanniti fecero della transumanza il cardine della loro vita. Non è un caso, infatti, che un insediamento fortificato caratterizzato da grosse mura in opera poligonale e ancora visibile, seppur in buona parte avvolto dalla vegetazione spontanea e dagli arbusti, sia stato eretto proprio sul versante settentrionale della catena montuosa del Matese, in località Terravecchia (l’antica Saipins), da dove gli antichi abitatori di queste terre avevano il controllo a 180° sull’alta valle dal Tammaro in contatto visivo con numerose altre fortificazioni della zona. Ma è proprio a valle che essi gestivano il commercio degli ovini, della lana, dei tessuti e di tutti i prodotti caseari, presso un ampio spazio recintato, sul quale in seguito i Romani erigeranno la città e tutti i monumenti che ancor oggi possiamo ammirare immersi in un incantevole, e quanto mai raro, paesaggio agrario di incontaminata bellezza, purtroppo messo ora a serio rischio dalla probabile installazione, a breve, di un impianto per la produzione di energia eolica con 16 generatori alti oltre 130 metri sul vicino crinale della Castagna, devastante sul piano dell’impatto visivo e ancor più devastante per l’altissimo valore storico e culturale di tutta la vallata.
Oltrepassata la Porta Tammaro e proseguendo lungo il cardine, i visitatori si sono diretti verso il teatro, vero gioiello di architettura di età augustea e praticamente ancora intatto. Si tratta senza dubbio dell’edificio più monumentale della città, collocato a ridosso delle mura di cinta. Splendide la cavea con le gradinate per gli spettatori e l’orchestra, generalmente utilizzata dal coro durante le rappresentazioni. Tutto il teatro, rimasto interrato sino agli anni Settanta del secolo scorso, è stato oggetto di accurati scavi che ne hanno svelato l’ima e la media cavea, mentre sulla summa cavea, ossia sulla parte più alta dell’emiciclo, si sono sovrapposte, a partire dal XVIII secolo, modeste e pittoresche abitazioni rurali che seguono la curva del teatro e che ancora oggi fanno bella mostra di sé, salvate fortunatamente da una sciagurata demolizione avviata proprio durante le operazioni di scavo e fortunatamente interrotta, che donano un senso di profonda suggestione al visitatore che passi da queste parti. La dott.ssa Di Rocco si è soffermata a lungo sul ruolo degli edifici di spettacolo nell’antichità e sul valore catartico delle manifestazioni comiche e drammatiche, greche e latine, che spesso vengono riproposte durante l’estate da note compagnie teatrali ad un pubblico sempre entusiasta e numeroso.
Per osservare il circuito murario della città, scavato e restaurato parzialmente, il gruppo ha quindi attraversato il tetrapilon settentrionale del teatro, che assieme a quello meridionale costituivano gli ingressi principali ai primi settori della platea, uscendo dalla cosiddetta postierla, una piccola apertura ricavata nel taglio delle mura e funzionale al deflusso degli antichi spettatori che, provenendo anche da zone poste all’esterno della città, potevano facilmente accedere alla summa cavea.
Seguendo dall’esterno del sito verso nord la cinta delle mura, i nostri amici sono giunti presso Porta Boiano soffermandosi ad osservare l’epigrafe posta sull’architrave del grande arco ad un solo fornice della porta che spiega che la costruzione del circuito murario fu voluta direttamente dall’imperatore Augusto, il quale diede incarico ai suoi due figli adottivi, Tiberio e Druso, di realizzarlo; tale epigrafe, posta su ciascuna delle quattro porte di accesso, s’inquadra cronologicamente tra il 2 a.C. e il 4 d.C.; ai lati di essa svettano due statue di barbari imprigionati da lacci e, al centro, sulla chiave di volta dell’arco, il faccione di una divinità, identificata con Ercole, qui posto perché protettore dei pastori e delle greggi e come monito per i passanti. Proprio alle spalle dell’arco, all’interno della città, era ubicato un particolare meccanismo di doppia porta ove i capi di bestiame venivano contati e veniva versato il dazio. Difficilmente leggibile perché sporca, ma di enorme importanza, rimane una seconda epigrafe posta sul piedritto meridionale di Porta Boiano e databile all’età dell’imperatore Marco Aurelio, il quale scriveva ai magistrati locali intimando loro di cessare le vessazioni sui conductores imperiali, ossia sui pastori che lavoravano per conto dei Romani, che, come tutti sanno, fecero della transumanza una enorme fonte di reddito per l’erario dell’Impero.
A breve distanza da Porta Boiano, si può vedere quanto rimane di un impianto termale rimesso in luce in gran parte, che presenta tutti gli elementi caratteristici delle terme romane con la successione delle vasche per le immersioni a diversa temperatura, l’impianto di riscaldamento sollevato su pilastrini in cotto, le suspensurae, e i tubuli alle pareti per il passaggio dell’aria calda.
Camminando lungo il decumano, quindi sul tracciato dell’antico tratturo, sulla cui pavimentazione rimangono a memoria del continuo transito di uomini e merci i segni dei carri, ci imbattiamo nei resti di una serie di edifici di carattere abitativo sino a giungere nei pressi del cosiddetto macellum, il mercato destinato alla vendita dei generi alimentari, a pianta trapezoidale con un’area centrale a pianta esagonale, pavimentato con grosse tessere di calcare e con al centro una macina di frantoio con funzione di vasca. Non distante dal macellum, è un grosso edificio, probabilmente di culto, che conserva sul fondo il lungo e massiccio bancone su cui, con ogni verosimiglianza, trovava posto l’effige della divinità. Aperta sul cardo, nel punto in cui questo incrocia il decumanus, ecco la basilica, a pianta rettangolare, divisa internamente da un peristilio di venti colonne con capitelli di stile ionico.
Dirimpetto alla basilica, ma sull’altro lato del cardo e sempre all’incrocio tra i due assi viari principali, trovava posto il foro, la piazza della città, lo spazio destinato ai mercati, agli affari, agli incontri, alla politica. Su di esso, rivestito con lastre di calcare locale, si aprivano gli edifici pubblici principali del municipio romano: sul lato settentrionale la curia e il comizio per le attività politiche e amministrative e altre due aule, probabili luoghi di culto; sul lato meridionale un grande edificio con una fronte di oltre venti metri soprelevato rispetto alla piazza del foro; in asse con questo imponente edificio era l’arco commemorativo di Nerazio Prisco, appartenente ad una delle più nobili famiglie locali, che aveva ricoperto cariche importanti al tempo dell’imperatore Traiano; sul lato breve sud-orientale sono evidenti i resti di un ambiente pavimentato a mosaico, verosimilmente di età imperiale, e di un secondo ambiente rivestito con marmi policromi datato al IV secolo d.C. Poco distante, sul decumano che corre verso Porta Benevento, è la fontana detta del Grifo, dall’effige di un grifo alato scolpito a bassorilievo al di sopra della vasca, mentre alle spalle della fontana si apre quella che gli archeologi hanno convenzionalmente denominato la casa dell’impluvio sannitico, perché al di sotto dell’attuale impluvio di età imperiale, fu rinvenuto durante gli scavi un impluvio precedente con lettere osche.
Dopo circa tre ore di cammino alla scoperta degli angoli più reconditi del sito, la visita termina con qualche breve cenno ai mausolei che circondano la città romana eretti esternamente alle mura e che si conservano ancora per buona parte e con il racconto delle ultime fasi di vita di Saepinum che, in età normanna, prenderà il nome di Altilia e sarà abitata soltanto da qualche agricoltore della zona.